Io lo sapevo. E per quanto avessi cocciutamente consultato le più svariate fonti meteo alla ricerca se non proprio della previsione migliore, almeno di una consolatoria, in fondo a me, lo sapevo. Sapevo che c’era una perturbazione intensa che stava attraversando il nord Italia e sarebbe durata non meno di tre giorni. Eppure non potevo più attendere! Le giornate si stavano accorciando e la temperatura diminuiva inesorabilmente, lasciando posto all’umido preludio dell’autunno. Mano sul cuore e poncio nel cruscotto. E che Dio me la mandi buona! Ecco, me l’ha mandata tutta. La pioggia intendo. E per quanto strada facendo alternavo preghiere a improperi, non c’è stato nulla da fare. Pioveva, a secchiate.
Ma andiamo con ordine!
Secondo giorno di viaggio | Domenica 18 settembre 2011 | Jesolo – Mantova
In sella alla Poderosa corro veloce attraverso quella disgraziata Romea, volo basso su Piove di Sacco e Conselve, a Monselice imbocco la statale numero 10 e via ancora per Este e Montagnana. Più veloce ripeto forte dentro di me, ché se arrivi a Bobbio siamo salvi!
Ma a Bobbio non ci sono arrivata. Non certamente quel giorno, e neanche il successivo. Al chilometro quattordicimila settecento dodici anche la più buona volontà si è arresa alla ragionevole considerazione che sto imbarcando troppa acqua. Il poncio che mi avvolge ha la rassicurante proprietà di preservarmi dal primo grosso temporale della stagione, ma al contempo fa un tanto inopportuno quanto gravoso effetto vela il quale, oltre a provocare un rumore assordante, rallenta ulteriormente la già modesta velocità di marcia, ricalibrata per far fronte alle subdole gocce di pioggia in ignobile caduta libera sui lembi di viso scoperti.
Insomma battuta dalle intemperie, in non so quale punto della strada, inverto marcia e torno indietro di una ventina di chilometri, sino al luogo in cui poco prima avevo intravisto dei casolari abbandonati. Ci giro un po’ attorno, come un pugile, che, saltellando sul posto, studia il suo avversario prima di somministrargli un destro formidabile, ed infine trovo un pertugio dove infilarmi. Mi addentro fra le sterpaglie, evitando cautamente ferri arrugginiti ed altri oggetti sparsi al suolo, e giungo ad una porcilaia. Spengo il motore. Tregua, per un istante.
Tolta la giacca, metto a stendere il poncio e addento un panino, scrutando il cielo con la probità di un auruspico, che cerca di fare il punto della situazione con le uniche due informazioni utili pervenute: “uno, dovrei trovarmi all’incirca a 20 km da Mantova e due, sono drammaticamente in riserva”. Faccio un grande respiro e mi dico di attendere un po’, finché non spiova o per lo meno fino al momento in cui la nuvola gravida sovrastante non abbia compiuto il suo – a me tanto sconveniente – dovere. Evidentemente di gocce all’attivo ne ha parecchie la ragazza, ma dal canto mio ho la motivazione, l’unica vera alleata in una situazione sì avversa!
La pazienza è la virtù dei forti continuo a ripetere come un mantra, mentre il cielo scialacqua imperterrito mesi di lacrime non versate, le quali tintinnano fragorosamente sul tetto di metallo del mio rifugio. Va bene! Ho capito! Mi faccio forza, chiudo tutti i boccaporti, infilo nuovamente il poco domabile poncio e mi rimetto in marcia. Ho detto che almeno a Mantova ci arrivo. E ci arriverò!
E’ stata dura. Quaranta chilometri – i miei calcoli erano evidentemente sbagliati e, in piena necessità di idrocarburi, è un errore che non ci si può permettere – sotto la pioggia battente, con la Ninetta in riserva lampeggiante ed una strada dannatamente sbagliata. SP 482 Alto Polesana. Se non fosse stato per alcuni scorci meravigliosi sul Mincio, avrei tirato giù santi per tutto il tragitto. Ma ora sono qui, sotto i portici del castello San Giorgio, bagnata e felice. Prendo un the caldo e riposo le membra. Per oggi, ci fermiamo.