«Small acts, when multiplied by millions of people, can transform the world.»
Howard Zinn
Decimo giorno di viaggio | Lunedì 26 settembre 2011 | Riomaggiore
Che giornata splendida! Il sole fa capolino fra le foglie degl’alberi ed il nostro eroe è pronto per la colazione del campione, a cui farà seguito la prima, attesissima escursione nelle Cinque Terre. Zaino in spalla, bandana della buona sorte al collo, biglietto della lotteria del Parco delle Cinque Terre alla mano e via! Rivus Major sto arrivando!
Giungo a Riomaggiore insieme ad una mandria di turisti, misto studenti in perfetta modalità scolaresca indomita, con tanto di radio appoggiata alle spalle, i quali, se non fosse per la musica tecno anziché punk, avrei detto in strepitoso stile anni ’80. Controllo per sicurezza il calendario. Effettivamente siamo nel 2011, quindi devo supporre che li abbiano tirati fuori dalla naftalina e ripuliti, giusto in tempo per la gita scolastica d’inizio anno. Li scruto attentamente, rammentando gl’anni gloriosi in cui, con stereo a doppia cassa, a mia volta procuravo – me ne rendo conto solo ora – gravi lesioni ai timpani delle malcapitate vittime, le quali, nolenti, si trovavano nello stesso spazio dai decibel scosso. Ebbene, messi da parte i ricordi lontani delle superiori, ritorno alla scena qui presente ed alla persona che nel tempo sono diventata, per scrutare con grande attenzione la direzione di marcia del frastuono, e imboccare conseguentemente la strada opposta.
Ovvio, è la più ripida, ma pur di sfuggire al baccano, mi dirigo senza indugio! Così, con certa fatica – mancano completamente le indicazioni e alla terza strada sbagliata, decido di intraprendere una serie di contatti ravvicinati con gli aborigeni del luogo – giungo infine ad affrontare il mio primo itinerario escursionistico: Madonna di Montenero. La salita di circa un’ora ed il dislivello di 500 metri promettono una vista incantevole e la strada, di muretti a secco e scalinate costruita, sale dolcemente nell’immaginario poetico che nei lunghi giorni di attesa mi sono creata, nonostante la brutalità di due segnalazioni approssimative, le quali mi hanno impietosamente gettato in pasto alla carreggiata nutrita di automobiline sfreccianti.
Dico, c’è qualcosa che non va! Passo da un sentiero silenzioso e di vegetazione avvolto, per trovarmi sul ciglio della strada, in piena curva e con visibilità pressoché nulla, con in mente l’idea di un’avventura che ha per oggetto la pericolosità degli strapiombi naturali, e non quella degli strapiombi urbani, riguardo i quali – sia chiaro – sono assolutamente impreparata!
Ad ogni modo, scansando i pericoli dell’asfalto, percorro il cammino un po’ nel bosco, un po’ allo scoperto, ponderando che, dopo l’escursione a San Fruttuoso, è difficile reggere il confronto con gli spazi e la bellezza indomita della natura. Va però detta una cosa: la terrazza sul mare, antistante l’abbandonata chiesa con oratorio della Madonna del Montenero, è di una bellezza squisita e la vista lungo il tratto di costa denominato Cinque Terre, semplicemente magnifica. Di terrazzamenti segnata, sin sulle punte, come anche negli anfratti più impervi, colpisce per l’infinita devozione degl’avi, i quali, arrampicati ed aggrappati alla roccia – solo sa Dio come – ne hanno rosicchiato a piccoli morsi il manto scosceso, trasformando i boschi in coltura, ed i minerali della terra in peculiarità enologiche.
Vi è qualcosa di straordinario nell’infinita pazienza, dedizione e tenacia con le quali, sasso dopo sasso, coi muscoli tesi e le mani ruvide, i nostri vecchi hanno saputo piegare i dorsi delle montagne, chinando i dorsi delle loro schiene, per scavare la roccia con l’implacabile forza di volontà di un torrente, che nel suo inesorabile moto, non conosce ostacoli.
Ridiscendo nel cuore del centro abitato, per ripartire ab ovo dalla stazione di Riomaggiore, dove, constatata l’effettiva evaporazione della folla brulicante in infradito e canottiera, mi accingo a proseguire il cammino del giorno lungo la Via dell’Amore, percorso pedonale scavato – ed ampliato attorno agl’anni ‘30 – nella roccia per collegare i paesi di Riomaggiore e Manarola. Ora, storia della via a parte, mi sento di spendere qualche parola di somma tristezza per la pochezza di contenuti imbrattanti la sua bellezza acqua e mare, tragedia ahimè non ultima della nostra civiltà.
Disseminati lungo l’intero percorso – impietosamente senza soluzione di continuità – tanto orgogliose quanto imbarazzanti promesse d’amore rintoccano a suon di lucchetti luccicanti e nodi sui sacchetti di plastica, scuotendo drammaticamente retine e sconvolgendo avvedute coscienze, poste di fronte ad un sì esteso obbrobrio. Ma quale promessa, ma quale amore! Par più una sveltina in cortile che un ardente sentimento di passione travolgente! Per un semplice, semplicissimo fatto: sono BRUTTI. Poco cosa dire. L’intensa suggestione degli scorci e degli strapiombi è deturpata da uno stramaledetto bigliettino modello post it che i ragazzi potevano pure attaccare sul diario, anziché qui! E per inciso, sia chiaro che in tutto questo Federico Moccia ha una pesante responsabilità per tale scempio, in virtù del quale mi domando come mai nessun comune non abbia ancora fatto causa al sedicente scrittore / sceneggiatore per aver beatificato una promessa d’amore in un gesto così insulso – semplice cattivo gusto – e contemporaneamente pericoloso – pura incoscienza –, proprio perché diretto ad una moltitudine di ragazzi privi di sufficienti strumenti per discernere il peso di una singola azione, ancor più se posta e moltiplicata in vasta scala – reale responsabilità sociale –.
“E’ importante che venga dato giusto valore a un fenomeno di costume da inquadrare in ambito antropologico” (cito parole testuali di Moccia a seguito della decisione dell’amministrazione di Roma di rimuovere i lucchetti dal tristo Ponte Milvio e riporli in un museo – ndr.), e a questo punto, a fronte di una palese mancanza di coscienza civile, sarebbe il caso di iniziare ad inquadrarlo anche in ambito penale, direi.
Ma andiamo avanti signori e salvate due cose dall’imposto oblio della Via dell’Amore – la vista a picco sul mare incantevole e il corpo nudo e libero di un nuotatore in esso immerso – scivolo via veloce verso il sentiero rosso n.1 che da Volastra mi porterà, attraverso un percorso incantevole, alla località Case Pianche e a Corniglia.
Ah sapeste quali brividi lungo la sua dorsale, tanto impervia quanto suggestiva! Vertiginosamente appeso al vuoto, immerso in un silenzio sacrale, del quale il Libeccio è savio monarca assoluto, più avanzo, più il sentiero si fa stretto, sino a giungere, in alcuni tratti, alla larghezza della singola scarpa. Nel punto più esposto, saldamente aggrappata ai tralci delle basse viti, mi fermo a contemplare lo spettacolo struggente che s’apre dinanzi a me, come fosse l’anfiteatro di un’opera in continuo, imperturbabile movimento.
A volte ci penso e posta di fronte ad una tal meraviglia è davvero difficile non ponderare l’esistenza di un’intelligenza superiore all’umana comprensione, in grado di aggregare atomi identici tra loro sino a comporre una varietà macro molecolare di una bellezza e forza mirabili.