Ahí la Niña, mio grande amor! Era una sera del 2004, o forse del 2005, non ha importanza. Pioveva come accade in certe notti d’autunno, o era una notte afosa della prima metà agosto, non saprei più dirlo. L’unica cosa che rimane di quel giorno disperso nella memoria è la sensazione, il desiderio di avventura che mi ha colto quasi di sorpresa, e non mi ha più lasciato, guardando I diari della motocicletta, dove la libertà sfrecciava in punta di vento e la vertigine di un orizzonte che non potevo contenere si spandeva nel salotto, insieme alla polvere sollevata lungo le strade battute dalla solitudine, mentre il rombo del motore congestionato segnava un percorso dentro e fuori di sé.
Ecco, la Niña è tutto questo. E’ l’incarnazione di un sogno, è il mezzo per percorrerlo e costruirlo, è il fido scudiero senza il quale Don Chisciotte non avrebbe potuto ciò che ha potuto, è il richiamo ad un viaggio che si spoglia di suppellettili, per giungere all’essenza di uno sguardo.