Visione O la ricomposizione di frammenti

Consapevole dello stato post moderno della realtà circostante, in cui, all’insostenibile fardello ottocentesco racchiuso nella sua parola chiave “originalità”, si sono uniti la velocità ed il frastuono dell’eversione marinettiana, lasciandoci – permettetemi di dirlo – quasi frastornati dalla sua risultanza, l’effetto primo che possiamo evincere da un’analisi tanto sobria, quanto distaccata, è che, attraverso il libero accesso ad una quantità di fonti solo vent’anni fa impensabile, è stato generato un nuovo concetto di arte.

Un’arte che dapprima ci ha voluto stupire con la quantità del fare – moto incontenibile e che in alcuni angoli remoti del globo ancora perdura – ma che poi, quasi con gesto magnanimo, ci ha concesso, infine, il piacere della scoperta. Il piacere delicato e sottile di trovare, in talune menti particolarmente brillanti, la capacità d’unire segmenti lontani nel tempo e nell’argomento [libero accesso alle fonti], piegandoli, con certa dovizia [scuola futurista], alle necessità dell’oggi, per ottenere un prodotto che sia, costantemente, nuovo [originalità].

Assistiamo così, nei suoi risultati più elevati, ad un’arte epica capace, al contempo, di abbracciare la moltitudine. Che ha la precisione tecnica del dettaglio, senza trascurare la sua incomparabile visione d’insieme. Che è semplice, come l’acqua, ma che dentro non celi lo studio, la fatica, la sintesi e l’amore che è servito per farla.

Questa è la direzione, lo sguardo con cui guardo ad ogni lavoro che mi accingo a compiere. Quasi fosse un fatto di destino.