3° giorno di viaggio | Venerdì 2 agosto 2013 | Barcelona
UNA GIORNATA CHE SCORRE
L’articolo che v’apprestate a leggere, miei cari lettori, si presenta quivi come una serie di vedute panoramiche – ho in mente i quadri del Canaletto, col loro ampio sguardo, il quale fissa su tela istantanee capaci d’abbracciare l’intera scena, come pure il singolo dettaglio – sugli accadimenti del giorno, colti nel loro scorrere sereno del primo approdo alla terra spagnola.
BORBOTTANDO ALL’ALBA
Sono le otto del mattino ed un cielo opaco porta con sé l’afa del mare e delle giornate trascorse. La Splendid inizia la sua avanzata lungo il molo, ed ogni cosa sembra essere sopita, quasi avvolta da una bruma salmastra. Ai lati del pontile, immobili braccia meccaniche, come quelle di un dio dormiente, giacciono in attesa dell’impulso, del comandamento divino di spostare e caricare container, sintesi immediata del commercio, dell’esportazione e del traffico e – per naturale estensione – simbolo orgoglioso dell’ingegno umano moderno.
Ponderando sui massimi sistemi commerciali, giungo così, lenta e posata, al porto di Barcelona. Sul fondo dello sguardo si stagliano palme e viali, accompagnati da quella che sarà la cifra dei colori sino al Delta de L’Ebre: giallo chiaro unito a strisce di rosso mattone, inframmezzate da arbusti bassi e rade macchie verdi. A mezzo monte, proprio lì di fronte a me, una linea scavata e rumoreggiante, mi porta ad indovinare – senza fallo – che si tratta della Carretera Nacional 340, mia personalissima antagonista, la quale già dall’Italia, allorquando stilai il piano di viaggio, senza scrupolo alcuno, mi lanciò il guanto di sfida.
Con una manovra da maestro, l’immensa barca viene fatta ruotare su sé stessa, sollevando vorticosamente la sabbia dal fondo. Ed io, con ancora il torpore di una nottataccia sulle spalle, unito al pensiero del sapermi ad un passo dalla Spagna, tiro le ultime fila del ragionamento portuale, osservando, con pacata distanza, l’incredibile differenza che separa il porto di Genova – caotico, sporco, polveroso – da quello di Barcelona – ordinato, pulito, di facile fruizione.
Confesso d’aver dormito poco e male. Il posto poltrona prenotato e spartito amorevolmente con un esercito di marocchini, il peso dei bagagli portati appresso dall’ora dell’imbarco, la sozzura dei locali della Splendid, e i microsonni fianco a fianco ad un russatore folle e di grave olezzo avvolto, hanno certamente influito sulla buona disposizione d’animo della mattina!
L’APPRODO
Aprono la pancia ed un rombo di motori accende il giorno! La Niña ed io in pole position siamo fra i primi a toccare la terra spagnola. Quale gioia! Siamo in Spagna Ninetta mia! In Spagna! Respiro a pieni polmoni la soddisfazione che corre lungo i viali alberati e, in un attimo, sono alle Ramblas. Le salgo lentamente, prima da una parte, poi dall’altra, in cerca del luogo propizio per fare colazione. Lo trovo, a pochi passi dall’incantevole mercato della Boqueria. Attendo paziente che si liberi un tavolo per stare vicino alla Niña – in molti mi hanno messo in guardia sulle ruberie della ciudad (in spagnolo “città”) ed ora che sono qui, non posso nemmeno pensare ad un furto della Poderosa, mia amata compagna di viaggio. Caffè, brioches, succo d’arancia e la raccomandazione della cameriera di mettere via le borse dalla sedia. Ok, ho capito, è più grave di quanto non pensassi!
IL TEMPISMO DEL VERME
Ora va detto: la sosta a Barcelona era stata inserita nel piano di viaggio, con lo scopo esclusivo* della visita a Chiara, carissima amica dell’età dell’oro, da pochi mesi felicemente madre. Per ironia della sorte, il Verme, in spagnolo Gusanito – vezzeggiativo con il quale è stata battezzata nel lontano 1994 –, a causa del caldo torrido e dell’affollamento estivo di Barcelona, ha ben pensato di spostarsi in Italia la settimana prima del mio arrivo! Insulti a parte per il tempismo impeccabile di cui ha dato prova, il nostro decide di spendere la giornata in visita al suo compagno Niccolò, il quale, più o meno in concomitanza con la nascita dell’erede, ha aperto un negozio di scarpe artigianali a fianco al museo di Picasso.
Così, andando a tentoni su una mappa le cui proporzioni di grandezza posizionavano Barcelona come un punto in alto, al margine dell’intera carta, con la bacchetta del rabdomante, cerco il negozio. Al terzo giro su l’Avenida del Marquès de l’Argentera, impugno il telefono e tiro giù dal letto il Verme per uno straccio di indicazione.
“Banys Velis devi cercare, è una stradina a fianco a Santa Maria del Mar”. Questa la benedizione del Verme. La raccolgo e, con la leggerezza di chi poco conosce, mi avvio lungo le viuzze che si dipanano attorno alla basilica, a caccia del negozio. Nel silenzio della ciudad ancora sopita, in cui il borbottare del motore s’infrange vigoroso alle alte pareti degli edifici, con gl’occhi strizzati in cerca dei numeri civici, d’improvviso lungo la via, m’imbatto proprio in Niccolò! Ci guardiamo e, increduli l’uno della vista dell’altro, ci abbracciamo festosamente.
Il negozio è bellissimo e lui una persona veramente in gamba. Mi accoglie con un sorriso e con la generosità di chi ha un cuore grande. Trascorro la mattinata fra sagome in legno, colle, pelli, copertoni e chiodi, il vero laboratorio di Veló by zin.
Suerte en su trabajo, mi amigo!
ATTORNO ALLO SQUALO
Verso le due del pomeriggio mi sposto in zona Barceloneta, in cerca di Michela – amica dei tempi in cui si soleva discorrere animatamente di fronte ad un buon calice di vino – e di un ristorante sardo. Lo manco e rischio di investire un uomo in bicicletta con bimbo al seguito. È segno che devo andare a riposare. Posteggio dunque la Niña sotto casa del Gusanito e mi fermo per una caña (in spagnolo “birra piccola”) al ristorante lì vicino.
Ahi gustosa cerveza! Fresca e dissetante è quanto di meglio possa chiedere nell’impietoso solleone spagnolo. Nel mentre scruto la lista delle tapas (graziosi stuzzichini di cui gli spagnoli vanno ghiotti. Ed io pure!) i ragazzi al mio fianco, i quali mi avevano gentilmente fatto posto al banco, ricevono una ciotola in terra cotta con dei piccoli coni fritti. Studio loro, studio il piatto, e in quello uno dei due me lo allunga dicendo “Cazon de Adobo. Te gusta?” Assaggio il cornetto, e frattanto mi spiegano di cosa si tratta: carne di squalo! Piccoli squali fatti secondo la ricetta di Malaga, dove sono piatto tipico. Il sapore è delicato e c’è una spezia che non riesco a riconoscere…forse paprika assieme al limone, non saprei. “Vanno mangiati col pane.” E di fatti il duetto è delizioso. Così, con la polpa di squalo conosco Sergio García e l’amico Ermes, al loro primo, strepitoso giorno di ferie! Parliamo in tre lingue (contando i gesti facciamo quattro in tutto, fra catalano, italiano, inglese), del mio viaggio, del loro lavoro, delle differenze linguistiche fra Barcelona e Malaga, dei piatti tipici di quest’ultima, delle usanze, delle vacanze, dei furti a Barcelona. E così, con la piacevolezza inaspettata di un incontro leggiadro e gratificante, trascorro due ore in compagnia dei ragazzi.
BUSCANDO AMERIGA (letteralmente “Cercando Ameriga”)
Rinfrancata nel corpo e nello spirito e, dopo una tappa salvifica nella doccia del Verme, pure pulita e profumata, mi avvio verso Barceloneta, la lunga spiaggia della città. La missione: trovare Michela nel guazzabuglio di bagnanti stesi al sole. Le indicazioni: è nella zona della piscina, ed ha una Vespa nera di nome Ameriga parcheggiata lungo il marciapiede.
Con la calma di chi s’appresta a compiere un’impresa impossibile, raggiungo lo spiazzo maggiore, mi fermo in un luogo a mio avviso identificabile, ed invio un messaggio: “Sono in zona piscine, vicino a quattro baobab ed una gabbia gigante con delle sculture”. Risposta: “Aspetta dai 5 ai 7 minuti e arrivo”. Con il brivido dell’incertezza che contraddistingue gli incontri con Michela, attendo paziente la sua comparsa, avvolta da un nuvolo di allegri vacanzieri. Dopo circa mezz’ora, altri quattro messaggi e due sopralluoghi a vuoto, finalmente ci troviamo, con il reciproco, meraviglioso, piacere di vedere ed incontrare un amico dopo lunghissimo tempo.
Neanche raggiungiamo il bar e già siamo lì, a parlare fitto fitto, a domandare ed informarci sulle vite, i viaggi, il lavoro, le conquiste, le disfatte, le scommesse, le cicatrici. Erano trascorsi tre anni dall’ultimo incontro. E ne avevamo di cose da dirci! Alla terza o quarta birra, le domando: “Che fai domani?” e lei: “Beh, vengo con te!” E così è stato. Senz’altro aggiungere, se non la voglia di andare, col vento sulla pelle ed una strada davanti.
NELL’ORA DEL TRAMONTO
All’incirca verso le sei e mezza, ebbre di parole e di birra, con la grazia della libertà e dei sogni, saltiamo in sella alle rispettive Vespe e, con rito propiziatorio del rombo del motore, ci avviamo nel cuore di Barcelona, per un tributo doveroso alla splendida, perennemente incompiuta, Sagrada Familia. Ah quali corse leggiadre su e giù pei lunghi viali, con Michela, capitano di ventura, e la nigra Ameriga, senza frecce, ma con una ripresa da far impallidire il mio buon destriero!
Ad un certo punto, in attesa del verde del semaforo, ci troviamo in compagnia di altre due Vespe. Che meraviglia! Bianco nero al centro, con ai lati una rossa ed una blu. L’orgoglio di vespisti accomunati da una segreta passione ha riempito l’istante, senza una parola, ma con la reciproca forza che un certo status sociale condiviso infonde nel cuore.
Con l’immagine del quartetto colorato dinanzi agl’occhi, percorriamo un lungo rettilineo ed io, che non sto più nella pelle, di quando in quando m’allungo per trovare, oltre i tetti articolati, le guglie della mirabile. Ne intravedo una, e, subito dopo, il resto dell’imponente architettura, di teli avvolta e d’impeto divino intrisa. “Hai visto Ninetta dove ti porto? A mirar l’umano ingegno nel suo farsi ardito slancio!”
NESSUN DORMA
Dopo una gustosa cena a base di tapas di pesce, la comitiva, composta da Niccolò – mastro calzolaio, Michela – condottiera sarda d’Ameriga, Alessia – una sua carissima amica, ed io – prode eroe, ci incamminiamo lieti per le vie di Barceloneta. C’è da dire che la Spagna tiene tempi ed orari tutti suoi, per cui, senza neanche accorgermene, ho acquisito il singolare fuso orario (circa 2 ore in avanti, senza muovere le lancette), sicché la cena s’è tenuta alle 22.30 e la passeggiata della quale stiamo ora parlando, intorno alla mezzanotte.
Giunti in Plaça del poeta Boscà, ci fermiamo per un mojito di festeggiamento. La piazza, sebbene grande, è tutto sommato piccola, o quanto meno ad esatta misura d’uomo, particolare che aggiunge ulteriore valore alle già numerose proprietà della capitale della Catalunya. E lì, dopo un paio di sorsi, dopo aver miracolosamente ritrovato Sergio Garcia (il ragazzo dello squalo), dopo aver riso di cuore e di gusto assieme ai miei amici, m’accorgo del movimento di alcune autocisterne, le quali avanzano lentamente sullo slargo, oltre il minuto parco giochi al nostro fianco.
La scena offerta ha un ché di commovente: una donna bellissima, in divisa verde-giallo della limpieza (operatore urbano, già spazzino), con un getto d’acqua potente e fortemente stretto fra le sue delicate mani, sta pulendo l’area, con la stessa devozione e cura con cui s’appresterebbe alla scelta di un paio di scarpe o di capo d’abbigliamento per un incontro galante. Guardo l’ora e mi accorgo che sono le due passate. Ma tu pensa, è notte fonda e la città è ancora sveglia, vivace, briosa, come fosse pieno giorno! A me, che sto a Treviso (e arrivo da Gorizia), è parsa la cosa più bella al mondo! Nel cuore della notte, in un quartiere familiare, la gente se ne sta sulle panchine a chiacchierare, senza polizia, senza divieti, senza proibizioni, il tutto con l’estrema naturalezza di una città che vive, e respira.
Con la gioia legata all’approdo alla terra spagnola e la felicità di trovarmi assieme agli amici, assisto al comune-straordinario scorrere della vita, colta in un giorno qualunque.
Ci sono istanti, d’una semplicità disarmante, che hanno la capacità d’imprimersi dentro, nel profondo, ed insieme raccogliere, come fosse un mirabile sunto, gli odori, le sensazioni, ed il vibrante piacere dell’essere. Del saperti lì, nel posto giusto, al momento giusto.
CONTACHILOMETRI: 22
CONSIGLIO DEL GIORNO: lascia che le cose scorrano
SCENA EPICA: la conquista della Sagrada Familia su due ruote