Scrivere una storia. Ma come si fa? Presa ogni giorno nella rete abbondante della comunicazione, nell’imperante, quanto placido diktat che qualcosa – anche il nulla va bene – ma pur qualcosa bisogna dire, alla fine della giornata, come oratori senza più acqua nel bicchiere, né saliva in bocca, mestamente ci avviamo verso la china del silenzio, dell’agognato, necessario annullamento del sé. Per non sentire più tante parole, immagini, suoni, grassetti, corsivi, disegni, foto, illustrazioni, notizie, titoli, tweet, feed, plus, pop-up, h3, offerte, occasioni, compra, vendi, scopri, stelle su stelle.
Certificati di eccellenza per straordinarie distrazioni.
Una reale tristezza fattasi quotidianità, e peraltro condivisa da un popolo di amatori di serie tv, piacevolissima, legalissima droga la quale, assunta in dosi massicce, garantisce la quiete dagli affanni e dalle preoccupazioni. Da tante pusillanimi chimere alle quali siamo sottoposti e che noi stessi promuoviamo, a volte consapevolmente, altre no.
Rispondi alla mail, richiama Tizio, attenzione, non dimenticare Caio, che proprio l’altro giorno ti ha chiesto, poi posta quella bella foto, ah sì, distribuisci equamente like e tweet al mondo e condividi l’immensa povertà della quale ci circondiamo come una piacevole, morbida coperta fatta all’uncinetto dalla mamma.
E lì fuori c’è il sole
che scalda e vibra,
mentre noi lo guardiamo
dentro un’app.