4° giorno di viaggio | Sabato 3 agosto 2013 | Barcelona – Tarragona
IL GUANTO DELLA SFIDA
Ce l’eravamo detti sin da principio, sin dalla prima progettazione stradale del viaggio, allorquando, con certa tenerezza e risultati quanto mai fallimentari, avevo disperatamente cercato di trovare sulla Guida Michelin, anziché la consueta opzione “Itinerario panoramico”, una variante alternativa del tipo “In massima sicurezza” o un “Puoi farlo anche in triciclo”.
E quantunque avessi consultato alfin l’oracolo per fugare ogni dubbio – nel caso specifico, mio fratello che lavora a Benicásim (Valencia) – sapevo perfettamente, non solo che sarebbe stata ardua, ma che, in tutta la sua possente lunghezza et larghezza, essa avrebbe rappresentato Lo Scoglio, la Vera Sfida, quella che ho insindacabilmente conosciuto e riconosciuto come l’unica, reale, difficoltà, dell’intera spedizione, temuta come può esserlo un maleficio per un superstizioso o come un dio impietoso per il peggior scellerato impenitente.
Ebbene, la mattina di sabato 3 agosto – la mattina che mi appresto ad attraversare – alle ore 10 in punto, è posto il duello con la Carretera Nacional 340, la principale strada statale costiera, la quale, con i suoi 1.248 chilometri di purissimo asfalto battuto, congiunge la città di Barcelona a nord, con Cadiz a sud.
I DUELLANTI
Ora, per rendere massimamente l’idea dello spauracchio che tal strada, a ragion veduta, causa al nostro intrepido eroe, bisogna qui prendere un istante alla narrazione dei fatti, per descriverla compiutamente, nella sua aberrante funzionalità di snodo principale del traffico spagnolo. Orbene immaginate una tangenziale, feroce come può essere una tangenziale nell’ora di punta, con a tratti tre, due, e persino una sola corsia per senso di marcia, la possibilità di transito dei camion, il limite di velocità dei 100 km/h e, aspetto fondamentale per la variabile quantitativa dei veicoli, assolutamente, completamente, ed infinitamente gratuita.
In pratica un colpo al cuore sparato a bruciapelo.
Senza tergiversare oltre, più che altro perché tutto il tergiversabile è già stato versato, col coraggio d’una pulce spaurita, stringo forte il vessillo della truppa ai bagagli e, strofinato il pendaglio dei viandanti ancorato al petto (una sorta di amuleto), mi appresto alla grande prova. Devo riconoscere che la sorte, con gesto d’una magnanime generosità, ha spezzato una lancia in mio favore, concedendomi l’ausilio ed il supporto di una spalla, un secondo viandante (Michela il suo nome), anch’egli vespamunito e – grazie al cielo – dal polso fermo sull’acceleratore.
LA PARTENZA DA BARCELONA
Dopo cinque giri di rotonda, perché cinque sono le strade che da essa partono, e zero le nostre indicazioni, lo scoppiettante duo riesce ad imboccare la rampa giusta, la quale, con docile – ipocrita – curva, ci lancia impietosamente in pasto al ferale traffico del primo weekend di agosto.
Con occhio fisso sulla linea di veduta ottimale (circa dieci o dodici metri avanti a me), mani strette al manubrio e mandibola serrata, tento di farmi posto in mezzo ai proiettili metallizzati (auto e camion in corsa come fossero atomi impazziti), i quali, sibilando vorticosamente al nostro fianco, non solo ci passano rasenti, ma – ed è questa la faccenda più spinosa –, a causa della velocità e del volume stesso dell’aria mossa nello spostamento, ci fanno sventolare come vessilli al vento. E per quanto ne potessi prevedere l’arrivo mediante continuo, parossistico, assillo dello specchietto retrovisore, e ad esso opporre la più grande forza, non c’è santo che tenga: la mole d’aria spostata mi spinge vertiginosamente verso il guard rail.
D’accordo, ci vuole calma e sangue freddo. Ma quale calma, ma quale sangue freddo! Qui ci rimettiamo le piume! Questi corrono come matti ed io non sono che un moscerino su due ruote. Che pessima sensazione! Come se non bastasse, la Nacional ha questa sua peculiarità di passare proprio di fianco ai centri urbani, i quali, a loro volta, si innestano numerosi sul suo asse. Quindi a sinistra le auto ci fanno il pelo, e a destra c’è la nuova immissione dei veicoli. Ad un certo punto, col groppo in gola e la terribile consapevolezza di non aver scampo alcuno, mi trovo con un camion a doppio rimorchio in superamento sulla sinistra, ed un secondo in ingresso sulla destra, ed io, pulce svolazzante in mezzo ai due colossi, coi brividi a fior di pelle e la fermezza d’animo che si fa burro, in un istante eterno, dapprima rallento – giuro non voglio, ma la mano si muove automaticamente! – poi, raccogliendo un vagito di spirito, mi do un buon consiglio: se comunque la devi affrontare, tanto vale spicciarsi e chiuderla il prima possibile. Così pensando, mi faccio superare a sinistra, poi, impugnato l’acceleratore, spingo a tutto gas, superando a mia volta il tir entrante.
LEVEL TWO
Inebriata dal profumo del coraggio apparso all’orizzonte, avanzo puntale nella selva oscura – sia chiaro, Dante era di gran lunga più al sicuro, lui con la sua lupa – un po’ cercando rifugio nella corsia di emergenza, un po’ rilasciando nel sangue piccole dosi di ardore e, conquistata una certa stabilità, quantomeno emotiva, riprendo la consueta velocità di crociera (ca 60 km/h). Ma gli obiettivi son fatti per essere superati e le mete non son altro che un nuovo punto di partenza. Così, una volta domato il traffico e trovato un punto di coesistenza coi giganti della strada, la vita mi alza di una tacca la stanghetta, aggiungendo allo schema del livello – senza pietà dico io – pure il vento contrario, l’impetuoso, prorompente, Mistral.
Dunque ora sono tre i tipi di vento dai quali guardarsi: il primo, quando ti superano, il secondo, poco dopo che ti hanno superato, ed il terzo, quello naturale, che spira a destra e manca, costringendo il nostro eroe a sfoderare un apparato muscolare di cui è drammaticamente sprovvisto. Porca miseria, ci manca pure lo schiaffo di madre natura! Non so, vogliamo aggiungere dell’altro? E tu guarda se il destino non tiene orecchie del diavolo! Tempo due minuti ed una goccia fredda mi colpisce il viso. Magari è stato un passero, mi dico. Sì certo, probabilmente obeso, ma vai tu a sapere la sua dieta. Oh, ma quale passero! Qui piove ragazzi, goccioloni che se ti beccano, ti cambiano i connotati!
IL RUGGITO DEL CONIGLIO
Con occhiali da sole la cui funzione primaria non è più quella di proteggermi dal sole, ma dalla pioggia, colpita nell’intimità dal riso oscuro e beffardo delle nubi sovrastanti, inizio la lenta, imbarazzante, contrazione della velocità. Ora certamente l’andar in autostrada a 30 km/h non aiuta, e neppur rinfranca lo spirito, ma lì per lì, m’è parsa l’unica soluzione plausibile, o per lo meno – e a conti fatti – la sola che ha il sopravvento. Così, dopo aver percorso una decina di chilometri in corsia d’emergenza, in cui persino le formiche mi pivettano per far loro spazio, Michela fortunatamente prende in mano la situazione, risollevando, con ferma, amorevole, determinazione, le sorti del nostro tristo eroe, testè fulminato dalla piaga della coniglieria.
E con l’infinita pazienza di chi insieme vuol andare, non per primeggiare, ma per condividere, mi pone di sotto la sua ala protettrice e, aperto un varco nella fitta coltre del traffico, mi fa strada, lasciandomi un abbondante margine di salvezza fra la nutrita fila di automobili ed il rovinoso ciglio della strada.
LA GENTILEZZA NON PAGA
Impresso nel cuore quel moto di speranza, o, per essere sommamente corretti bisognerebbe parlare di fides nella buona riuscita dell’impresa, l’allegra combriccola riprende la marcia in direzione Tarragona. Delle tre corsie iniziali della Nacional ne rimane una sola, e persino lo spartitraffico centrale se n’è andato, come cancellato da una grossolana pennellata di Photoshop. Coi campi che pian piano si fanno strada all’orizzonte, distendendo e mitigando le intemperie interiori, le due Vespe, l’una bianca, l’altra nera, l’una Niña, l’altra Ameriga, conquistato il centro della carreggiata, felicemente percorrono la strada.
Ed io, lieta per quest’attimo di quiete, che, migliore della pioggia, ci sta piovendo addosso, nel mentre sto per mettermi a canticchiare una canzone, l’occhio mi cade lesto sullo specchietto retrovisore, portando con sé una sconveniente notizia: a causa della mia velocità – e ribadisco velocità, non lentezza, perché pur’io tengo dell’orgoglio! – e dell’unica corsia superstite, alle nostre spalle s’è formata una coda bislunga di autovetture, le quali, non apprezzando quanto noi la beltà dell’aere e dell’agreste paesaggio, cominciano palesemente a spazientirsi. Di comune accordo decidiamo di farle passare, onde evitare che il gravoso accumulo possa esplodere in incauti superamenti e, con docile disposizione d’animo, attendiamo pazienti il deflusso delle auto. D’un tratto un tizio si sporge dal finestrino d’un furgone ammaccato e, con la grazia di un contadinotto ancor fresco di terra, con voce baritonale ci urla “Comprate una moto!” (in spagnolo “Comprati una moto!”). “Ma vai in autostrada, cabrón*!”, scatta immediata la risposta, la quale frange, in un istante, la pace del paesaggio appena acquisita, traendo fuori la rabbia e la tensione sopite.
L’ESITO DEL DUELLO
Mi piacerebbe dirvi che l’intrepido ha combattuto valorosamente, spezzando venti ed incroci come fossero lance e spade nemiche, e che la Carretera Nacional 340, posta di fronte ad un sì agguerrito ed indomito avversario, non ha potuto far altro che cedere il passo, chinando il capo a tal possanza. Vorrei dirlo, a gran voce, eppure, con un minimo di onestà che ritengo sia a voi dovuta, ed una punta di amor proprio, della quale non posso davvero fare a meno, mi limiterò a porre l’attenzione sull’unico fatto che, a mio vantaggio, posso spendere: alla fine di tutto, mettendoci quattro ore anziché due, siamo infine arrivate a Tarragona.
E tanto basti.
CONTACHILOMETRI: 108
CONSIGLIO DEL GIORNO: troppi scrupoli nuocciono gravemente alla salute
STRADA DEGNA DI MENZIONE: Una manciata di chilometri della Carretera nel tratto compreso fra i paesi di Vallirana e Ordal